giovedì 9 settembre 2010

....E la Borsa se ne va!!! Delisting made in Italy

          La “Grande  fuga” – Emorragia in Piazza affari Parte prima:
Ai lettori ed operatori che mi seguono, riassumiamo un pò, prima delle considerazioni: Con “Anima” e “Negri Bossi” aumentano le società in fuga dal mercato. A loro si unisce anche Fastweb, di proprietà della Swisscom. Con grande delusione dei risparmiatori, che capitalizzano considerevoli perdite. Pensate ai tempi della gloriosa “E-Biscom”. Con le ultime due offerte pubbliche di acquisto, lanciate rispettivamente su Anima Sgr e Negri Bossi, il numero delle operazioni straordinarie finalizzate al ritiro dei titoli da Piazza Affari, presumibilmente arriverà a superare ampiamente le venti unità entro la fine 2010.
Ma la Consob, dopo il boom, sta preparando nuove norme a tutela dei soci di minoranza. Le società che hanno già abbandonato il listino sono ormai sette, Marazzi e Cremonini le più note, seguite da: Navigazione Montanari e Immobiliare lombarda. Se, quindi, in Borsa il gioco che va per la maggiore è proprio quello del delisting, ne consegue che la tendenza è in crescita. Anche perché nello stesso arco temporale le nuove matricole sono state solo sei (Investimenti e sviluppo mediterraneo e Molmed sull' Mta e altre quattro sull' Expandi, Rosss, Best union, Enervit e Ternienergia, escludendo Greennergy, che di fatto è stata una scissione da Kme group).
Ed è difficile immaginare che a breve la lista delle debuttanti possa allungarsi, viste le difficili condizioni dei mercati finanziari. Anche perché, proprio i pesanti crolli registrati dalle quotazioni dei titoli hanno spinto o stanno spingendo gli azionisti di maggioranza, in particolare delle piccole e medie società, a considerare l'ipotesi di rientrare nel pieno possesso delle azioni, con l' inevitabile ritiro dal listino.
Spesso si tratta di aziende di piccole e medie dimensioni il cui proprietario, che di solito non è avvezzo a confrontarsi con le dinamiche del mercato, tanto è disponibile alla quotazione in Borsa nei momenti di euforia del listino, quanto più si affretta a chiederne il delisting se vede che le quotazioni diventano eccessivamente sacrificate.
Il problema, però, è che in Italia mancano norme efficaci che regolino il delisting. Per esempio, non ci sono indicazioni sulla tempistica precisa della revoca del titolo e soprattutto non c' è alcun obbligo di prezzo dell'Opa in relazione a quello del collocamento iniziale.
Ne deriva che in molti casi il prezzo offerto può risultare decisamente inferiore anche alle stime più prudenziali di quella società. Un esempio clamoroso fu il delisting di Rinascente nel marzo 2003, avvenuto a un valore molto inferiore a rispetto a quello stimato per i soli immobili del gruppo. E’ ovvio, si trattò di un autentico atto di pirateria finanziaria. Peraltro, benedetto dall’Imprimatur della ConSoB nella figura dell’allora Presidente Spaventa. “Nomen Omen”, non c’è che dire!
Ma la musica è destinata a cambiare, almeno in parte, a breve. Già nel luglio scorso, nella sua consueta relazione annuale Lamberto Cardia, ex presidente della Consob, rilevava il consistente calo delle quotazioni del 2007 e del primo semestre 2008, e il fatto che "nell' attuale fase di mercato, gli andamenti negativi possono indurre gli azionisti di controllo a lanciare offerte volte a cancellare i titoli dalla quotazione". “Di qui la necessità”, denunciava Cardia, “di garantire agli azionisti di minoranza la possibilità di effettuare scelte consapevoli in merito all' adesione dell' offerta tramite l' elaborazion,e nell' ambito delle norme attuative della direttiva sulle opa, di misure a tutela degli azionisti di minoranza".
A questo punto è lecito domandarsi: Ma tutto questo, sarà solo una conseguenza della crisi iniziata in sordina nell’autunno del 2007? E se così fosse, come si spiega la compresenza di un avvicendamento-seppur esiguo-fra azioni in uscita ed altre (inferiori per numero) in ingresso ai listini? La mia sensazione però è un’altra, facciamo un po’ di conti:
In Italia, alla fine del 2007 (Fonte dati CRIBIS) il totale delle imprese attive supera i 5.000.000 di unità. Di questi, circa 720.000 sono S.p.A.
Oggi i numeri ci dicono che il “Sistema Impresa Italia” supera i 6,5 milioni di aziende attive. E, andando più nel tecnico, delle 720.000 di 3 anni fa (oggi poche in più) quante hanno scelto di quotarsi ai listini ufficiali di Milano? La risposta è a dir poco sorprendente. Nel triennio 2007-2010 il numero delle aziende quotate (al netto dei delisting) varia da un minimo di circa 320 titoli ad un massimo di 390 circa.
Tradotto vuol dire che: su una media di 355 titoli il rapporto fra SpA commerciali ed SpA quotate è dello 0,0005%? E se consideriamo che, di 355 aziende quotate, molte sono riconducibili a pochi gruppi industriali e/o familiari dobbiamo farci un’altra domanda:
Ma quello italiano è considerabile un mercato affidabile? E con un misero 0,0005%, dove possiamo arrivare? Come competere per il futuro? E, ancora: Esistono i presupposti per un “sano” sviluppo delle aziende in quotazione?
                                                                                                         Fine della 1^ parte – Seguirà nuovo post


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