lunedì 11 ottobre 2010

New "Gold Rush". Nuova febbre per l'Oro: Mai così in alto-Parte 1^

1C.ne Covino (PS Consulting) / CC BY-ND-3.0 

Raffica di record per l'oro. Il prezzo superato i 1.345 U$A.
Nuovi picchi storici favoriti dal calo del biglietto verde e dal fondato sospetto che le politiche monetarie delle banche centrali possano accentuare, a fronte di una ripresa anemica, un’ulteriore spinta espansiva con effetti depressivi sul valore della valute. In primis sul dollaro, sempre a ridosso dei minimi dei 15 anni sullo yen e schiacciato dall'euro oltre quota 1,31.
Non solo, secondo molti analisti pesano anche le prospettive di una recrudescenza della crisi del debito nonche' l'incerta patrimonializzazione del sistema bancario. Poi ci sono gli acquisti delle banche centrali, Cina in testa, un paese che assorbe il 39% della produzione globale di oro ma ha appena il 6% delle riserve auree mondiali.
Inoltre (forse soprattutto), c'e' il fiume di denaro che si riversa sugli Etf, gli strumenti finanziari quotati nelle borse azionarie che replicano l'andamento dei prezzi dell'oro. Si tratta, in quanto strumento finanziario, di ''oro di carta'', che consente al piccolo risparmiatore e al sofisticato investitore di scommettere sul metallo giallo.
L'Etf “Spdr Gold Trust”, il maggiore Etf del mondo sull'oro, sta segnando, già da qualche tempo, nuovi massimi storici. In Borsa capitalizza 53 miliardi di U$A (circa 40 miliardi di €), vale piu' di Unicredit (38 miliardi di €).
Nel 1980 quasi il 60% delle riserve era in oro, ora è solo il 10%. Cina e Giappone hanno percentuali di oro molto basse sul totale delle riserve.

Sei io fossi il filibustiere che dirige queste istituzioni porterei al 100% quella percentuale (sarebbe come dichiarare guerra agli emettitori del dollaro!), ma anche un burocrate meno spregiudicato sarà tentato di mollare un po’ di “T-Bond” e metterci un po’ più d’oro nei forzieri” (almeno un 10%). 
Ma questo è solo il mio modesto parere!
Quindi tutte le vendite della banche centrali europee e dell’IMF saranno sterilizzate dall’assorbimento asiatico”. In lingotti il “Gold Trust” rappresenta 1.294 tonnellate di oro. Nei fatti possiede la meta' della produzione annuale mondiale (2.500 tonnellate nel 2009 secondo i dati Gfms). Ben il 37% delle quote del Gold Trust e' in mano agli hedge fund.  Il finanziere George Soros (co-fondatore dell' hedge fund Quantum), l'altro ieri ha definito l'oro: ''la nuova bolla speculativa'', correggendo quanto detto qualche mese orsono, ''non e' ancora una bolla, ma lo diventera'''.

La pensano diversamente gli analisti di Commerzbank e Goldman Sachs, che già vedevano il metallo giallo oltre quota 1.300 U$A (per Oncia Troy) da oltre 2 mesi. Al momento, l'unica cosa certa e' il rendimento degli Etf. Dal 2005, anno in cui e' salita la febbre per questi strumenti finanziari, solo il Gold Trust ha fruttato il 171%. Allora viene spontaneo chiedersi: a cosa si deve tutto ciò? Cosa spinge al rialzo il prezzo dell’oro?

Per gli operatori del mercato si deve al deprezzamento del dollaro, allo scetticismo sulla forza della ripresa economica e alla debolezza della borsa. Insomma, in un momento in cui nessuno si fida più di nessuno, l’oro resta più che mai l’unica unità di misura della ricchezza mondiale. Il parametro della solidità di una nazione si misura infatti non sulla moneta ma sull’oro, stabile e accettato da tutti. Se un Paese ha infatti bisogno di un prestito di una certa entità attinge proprio dalla propria riserva aurea, mettendola a disposizione come garanzia. E nel caso in cui non riuscisse poi a ‘onorare il debito’, può vendere parte della riserva per avere subito a disposizione il controvalore in moneta ed estinguere le “Obbligazioni” contratte. Ma, rendimenti a parte, come si spiega questa nuova “Febbre per l’Oro”?

Cominciamo col capire le dinamiche di “Domanda e Offerta” e degli intermediari autorizzati. 


Domanda:

La domanda d’oro è diffusa in tutto il mondo. Nel 2008, l’Asia orientale, il sub-continente indiano e il Medio Oriente hanno espresso il 70% della domanda mondiale. Il 55% della domanda è attribuibile a soli cinque Paesi: India, Italia, Turchia, Stati Uniti e Cina, e ogni mercato è influenzato da diversi fattori socioeconomici e culturali. Rapidi cambiamenti demografici e socioeconomici in molti dei principali Paesi consumatori possono inoltre produrre nuovi modelli di domanda.

Domanda di investimento

Dal momento che una parte significativa della domanda di investimento viene espressa da mercati non regolamentati, essa non è facilmente misurabile. Non vi è tuttavia alcun dubbio che la domanda identificabile di investimenti in oro sia aumentata considerevolmente negli ultimi anni. Dal 2003, gli investimenti hanno rappresentato la maggiore fonte di crescita della domanda, con un aumento in termini di valore del 412% circa alla fine del 2008. Gli investimenti hanno attratto afflussi netti per circa 32 miliardi di dollari nel 2008.

Esiste un’ampia gamma di ragioni e motivazioni per le quali tutti, dai singoli individui alle grandi aziende, cercano di investire in oro. E, naturalmente, una prospettiva di prezzi positiva, sostenuta dall’aspettativa che la crescita della domanda del metallo giallo continui a superare l'offerta, fornisce una base solida per gli investimenti. Gli altri elementi chiave che sostengono la domanda di investimenti hanno un aspetto in comune: sono tutti radicati nella capacità dell’oro di offrire garanzie contro l’incertezza e l’instabilità e di proteggere dai rischi. L’investimento in oro può assumere molte forme, e alcuni investitori scelgono di combinarne due o più, per ottenere una maggiore flessibilità. La distinzione tra l’acquisto di oro fisico e l’acquisizione di esposizione ai movimenti del prezzo dell’oro non è sempre chiara, specialmente da quando è possibile investire nei metalli preziosi senza consegna materiale. La crescita nella domanda di investimenti è stata rispecchiata da sviluppi corrispondenti nelle modalità di investimento, ed esiste oggi un’ampia varietà di prodotti che soddisfano sia gli investitori privati che le grandi realtà economiche e produttive.

Offerta: Produzione mineraria

L’oro viene estratto nelle miniere di ogni continente, fatta eccezione per l’Antartide, dove l’estrazione è proibita. Gli impianti estrattivi sono delle più diverse dimensioni e trattano da piccole quantità a enormi volumi di materiale; nel mondo sono attive alcune centinaia di miniere d’oro (escludendo le attività di ridottissima scala, artigianali e spesso “non ufficiali). Il livello generale della produzione mineraria mondiale è oggi relativamente stabile, con una media di circa 2.485 tonnellate l’anno negli ultimi cinque anni. Le nuove miniere in via di sviluppo subentrano alla produzione già esistente e non causano un aumento significativo nei dati totali a livello mondiale. Con un lead time relativamente lungo (le nuove miniere impiegano spesso fino a 10 anni per entrare in attività) la produzione dell’oro è relativamente inelastica e incapace di reagire rapidamente alla prospettiva di un cambiamento dei prezzi. Gli incentivi promessi da un prolungato rialzo dei prezzi, com’è accaduto per l’oro negli ultimi sette anni, non vengono quindi facilmente o rapidamente tradotti in un aumento di produzione. Sebbene la produzione mineraria sia relativamente inelastica, ”l’Oro riciclato (scarti di lavorazione) assicura che vi sia una potenziale fonte di materia prima da negoziare facilmente in caso di necessità, e questo aiuta a stabilizzare il prezzo dell’oro. Il valore dell’oro risiede nel fatto che un suo recupero dalla maggior parte dei suoi utilizzi è economicamente sostenibile, essendo possibile fonderlo e raffinarlo nuovamente, per poi riutilizzarlo. Tra il 2004 e il 2008, l’oro riciclato ha contribuito con una media del 28% ai flussi annuali dell’offerta.

Banche centrali

Le banche centrali e le organizzazioni sovranazionali (come il Fondo Monetario Internazionale) detengono attualmente come Asset di riserva poco meno di un quinto di tutte le riserve auree di superficie (pari a circa 29.600 tonnellate, distribuite tra 110 enti e organismi). In media, i governi posseggono circa il 10% delle loro riserve ufficiali sotto forma di oro, sebbene la percentuale vari da una nazione all’altra.

Benché diverse banche centrali abbiano aumentato le proprie riserve auree nell’ultima decade, il settore nel suo complesso è dal 1989 un venditore netto, contribuendo per una media di 447 tonnellate ai flussi annuali dell’offerta nel periodo 2004-2008. Dal 1999, il volume di queste vendite è stato regolato dal “Central Bank Gold Agreement” (Accordo sull’oro fra le banche centrali - CBGA) che stabilizza le vendite dei 15 maggiori detentori di oro al mondo. Non sorprende che le vendite di oro da parte degli organismi ufficiali si siano ridotte negli ultimi anni. Nel 2008, le vendite nette delle banche centrali sono ammontate ad appena 246 tonnellate.

Come gli altri metalli preziosi, l'oro viene quotato al grammo o all’oncia. Quando è in lega con altri metalli, la sua purezza è misurata in carati, con una scala che fissa a 24 carati l'oro puro. Il prezzo è fissato dai mercati; tuttavia, dal 1919, la Borsa di Londra stabilisce due volte al giorno un prezzo di riferimento (il cosiddetto fixing dell'oro). Ogni giorno i rappresentanti dei cinque mercanti più grandi del mondo (Johnson Matthey, Mocatta & Goldsmith, Samuel Montagu, Rothschild e Sharps Pixley) decidono il prezzo scambiandosi segni con le mani. Ogni anno vengono prodotte più di 2mila tonnellate di oro. Le banche centrali ne custodiscono in totale 30mila. Oltre 8mila (8.133 tonnellate) sono custodite nei forzieri della Federal Reserve Usa (Fort Knox), 3.408 in Germania, 3217 li custodisce il Fondo monetario internazionale e 2.451 l’Italia.

Ma sulla reale disponibilità di Fort Knox (il famoso caveu costruito nel 1936) qualcuno ha avanzato qualche dubbio. Un deputato repubblicano del Texas, infatti, ha depositato una proposta di legge per far luce sulla reale disponibilità dell’oro conservato nella 'cassaforte' Usa.

Viene messo in dubbio che i 137 miliardi di dollari in lingotti siano effettivamente tutti di proprietà del Governo, o non siano stati venduti in parte per abbassare il prezzo dell'oro e sostenere quindi quello del dollaro. Questo curioso, quanto sinistro, aneddoto ricorre spesso da qualche tempo a questa parte. Fin’anche a prestare il fianco come argomento di “Spy story”. Ovvero: Nel 1959 “James Bond” (alias Sean Connery) era riuscito a sventare il piano criminoso di “Auric Goldifinger” (il cattivo dell'omonimo film della serie 007) che voleva annientare la riserva aurea degli Stati Uniti a Fort Knox per scombussolare il mercato dell'oro e far di conseguenza aumentare spropositatamente il valore dell'oro da lui posseduto. A questo punto, a 50 anni di distanza, la paura non è tanto quella di sventare possibili attacchi alle montagne di lingotti presenti nel bunker, ma capire se ci siano lingotti da rubare.

La domanda, a questo punto, è d’obbligo: perché accostare una fiction all’ipotesi remota (seppur legittima e concreta) di dubitare della reale consistenza delle riserve auree americane? E quali attinenze (ove mai fossero dimostrate le ipotesi) ci sono con gli odierni prezzi dell’oro?

Beh tanto per cominciare, sempre navigando nell’immenso mare dell’alea, perché questi dubbi ricorrono con una certa insistenza. Sino a spingere, un deputato del Congresso, a presentare una mozione per verificarne le reali consistenze. Inoltre, semmai ci dovessero essere delle “incongruenza” fra le riserve dichiarate e quelle depositate (per difetto, ovviamente), le correlazioni con la spinta rialzista risulteranno in modo palese. Anzi, direi in maniera quasi imbarazzante. Ma non si tratta solo di questo, c’è anche dell’altro.......
 Seguirà prossimamente la 2^ parte

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